Una pillola che rallenti il tempo è il sogno di molti, soprattutto quando a invecchiare è la mente. La perdita di memoria fa paura, tanto che molti proverebbero qualsiasi novità, pur di esorcizzare lo spettro del declino cognitivo. Tra il dire e il fare, tuttavia, c’è di mezzo il marketing. Questo porta a sbandierare effetti modesti, magari supportandoli con studi clinici, inducendo al consumo di prodotti dal beneficio incerto. In questo caso si tratta di un famoso multivitaminico, i cui risultati presentati dovrebbero aiutare le persone di terza età a proteggersi dal declino cognitivo.
C’Era una Volta il Multivitaminico
L’idea che i vitaminici aiutino il benessere è radicata. Il Mondo occidentale, emergendo da secoli di conflitti e carenze, ha trovato in questi nutrienti un supporto per combattere stati carenziali e patologie: dallo scorbuto al rachitismo, dal beri-beri alla pellagra, l’integrazione ha messo al sicuro la popolazione per quasi un secolo. Tuttavia, nell’era dell’eccesso calorico, dove il cibo industriale è giocoforza vitaminizzato, ha senso assumere altra integrazione? Se lo scopo è quello prevenire patologie come l’Alzheimer la prima risposta è un “no” abbastanza secco. A dimostrarlo è stato un vecchio studio del 2013, il PHSII. In questo, circa 6000 medici – tutti maschi sui 65 – sono stati seguiti dal 1998 al 2011 con interviste strutturate, al fine di valutarne il benessere cognitivo. Metà hanno assunto quotidianamente un mix di Gruppo B, con vitamine C ed E, lasciando all’altra l’uso del placebo. Nell’arco degli anni, tutti i test hanno indicato un lieve declinare delle facoltà cognitive con l’andare del tempo, ma i punteggi erano identici, sia che si stesse assumendo placebo o la formulazione vitaminica.
Risultato deludente, ma che all’epoca non stupì gli addetti: molto dipendeva, infatti, da precise scelte di design. I medici sono culturalmente formati sulle problematiche alimentari e questo li porta ad evitare carenze con un’alimentazione equilibrata. Di conseguenza, l’intervento d’integrazione avrebbe migliorato molto poco un quadro già buono.
Le cose sono cambiate nel 2022 con il COSMOS-Mind, studio che ha avuto il merito di coinvolgere 3000 uomini e donne nell’arco di 3 anni, confrontando gli effetti che multivitaminici, placebo o estratti di cacao possono avere nel rallentare il declino delle facoltà mentali.
I Multivitaminici nel 2022
Va precisato che lil COSMOS-Mind ha escluso pazienti con problematiche importanti come diabete o pregresso infarto, scegliendo anziani (età media 72) in buono stato di salute. Questo ha ottimizzato il campione, così da apprezzare meglio differenze sottili, come quelle presenti nei test di fluenza verbale e di richiamo mnestico. Alla fine dei 3 anni si è registrato un miglioramento significativo, sebbene modesto, rispetto al placebo. In altre parole, usare un multivitaminico proteggerebbe significativamente, anche se in maniera lieve, dal decadimento cognitivo. Questo accade rispetto al placebo, ma anche rispetto ad un estratto di cacao standardizzato. Gli effettti sarebbero stati più pronunciati nei pazienti con CVD [patolgoie cardiovascolari].
Un Effetto Lieve, ma Statisticamente Significativo
Andando a quantificare, il multivitaminico totalizza + 0,1 rispetto al placebo; questo risultato è statisticamente significativo, non derivando da casualità nella raccolta dati. E’ tuttavia modesto, perché il multivitaminico – a 3 anni dall’inizio della supplementazione – ha un punteggio z (differenza rispetto all’inizio) inferiore a + 0,3 volte la deviazione standard, quando il placebo ottiene un po’ meno di + 0,2. Questo garantisce la presenza di un effetto positivo sul declino – quel +0,1 – ma non su come questo sia ottenuto o su quanto questo possa funzionare nel singolo caso, scendendo dal regno della statistica in quello della vita quotidiana.
E’ Utile un Vitaminico nel Combattere il Declino Cognitivo?
Si può dire che – per la prima volta – ci siano prove sufficienti a confermarne una qualche utilità negli anziani sani o con rischio CVD moderato. È però difficile consigliarli nella popolazione generale o nei singoli casi, soprattutto se presenti patologie croniche (es. diabete mellito tipo II) o abitudini rischiose, come il fumo.